Le bare dei bambini sono bianche, di un bianco che fa impressione. Come fa impressione il rapido conto dei giorni della piccola Taisiia a Crotone: appena 23, dal 26 febbraio, quand’era arrivata con la madre ed il fratellino da Tersipol, al 20 marzo, il giorno in cui ha trovato la morte. Nelle prime file della Basilica Cattedrale di Crotone ci sono le persone della famiglia ed altri componenti la comunità ucraina, ma la chiesa è gremita come può esserlo un luogo di culto durante la pandemia. Di lato, sull’altare, il gonfalone del Comune: è il giorno della compassione, ed il celebrante di rito bizantino, monsignor Vasil Kuliàniak, dice che la piccola Taisiia è il simbolo di un’unica tragedia, quella collettiva del popolo ucraino che s’intreccia con quella, più intima, della famiglia della bambina, ed individua nella mancanza di prevenzione la matrice comune dei lutti, sia nel Baltico che in una sperduta contrada della periferia nord di una città di provincia italiana. Il sacerdote ricorda che è trascorso quasi un mese dall’invasione del suo paese, ma aggiunge che il sacrificio imposto dall’instabilità dell’area russo-ucraina è sublimato dal sangue di centinaia, migliaia di bambini uccisi dal 2014 in Donbass e Lugantsk. Taisiia, dice monsignor Kuliàniak, è un simbolo di pace e di unità in Dio, ed incoraggia i genitori sottolineando che per la Chiesa ortodossa i bambini fino a 7 anni sono considerati senza peccato. Poi ribadisce l’esortazione alla responsabilità: l’insegnamento della Cristianità, dice, è che bisogna difendere i deboli e che non si può essere silenziosi davanti al male.
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