Una struttura coesa e radicata nel territorio, capace di infiltrare il tessuto economico locale ma anche di allargare i propri affari in altre regioni d’Italia, in altri Stati d’Europa e persino in altri continenti. Quando parla di ‘ndrangheta in fondo non dice nulla di nuovo la relazione della Direzione investigativa antimafia relativa al secondo semestre 2022, che di fatto conferma quanto già si sa da anni.
Il potere che nel tempo l’organizzazione criminale calabrese ha assunto nel panorama criminale internazionale – anche grazie alla sottovalutazione del livello delle sue attività – è ormai noto, e viene confermato anno dopo anno dalle numerose inchieste che svelano (tra l’altro) rapporti sempre più radicati e abituali con Paesi esteri. Circostanze che i magistrati calabresi denunciano da sempre, ma che forse a livello nazionale ed internazionale non sono stati presi sufficientemente sul serio.
Così la relazione della Dia conferma le mire della ‘ndrangheta su quasi tutte le Regioni d’Italia – con 46 locali individuate fuori dalla Calabria – ma anche le sue proiezioni in molti Paesi europei e nei continenti australiano e quello americano.
Dei 31 milioni di euro sequestrati dalla Dia, 0,7 riguardano la ‘ndrangheta; ma dei 181,4 milioni confiscati, ben 177,6 sono riconducibili alle cosche calabresi.
46, dunque, le locali di ‘ndrangheta individuate in mezza Italia, dove le cosche “replicano – scrive la Dia – i modelli mafiosi basati sui tradizionali valori identitari, facendo sempre riferimento al ‘Crimine,’ quale organo unitario di vertice, che impone le strategie, dirime le controversie e stabilisce la soppressione ovvero la costituzione di nuove locali”. 25 sono in Lombardia, 16 in Piemonte, ma anche 3 in Liguria, ed una in Veneto, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige.
Quello che cambia, invece, quello che si evolve, è il ricorso alle nuove tecnologie. A partire dal Metaverso. La relazione pone infatti l’attenzione sulle piattaforme di comunicazione criptate e, in generale, su Internet e darkweb. Indagini condotte di recente in Italia «hanno permesso di rilevare un crescente impiego di criptotelefoni». Il che imporrebbe l’adozione di adeguate contromisure, tecniche quanto giuridiche. E soprattutto in quest’ultimo campo occorrerebbe uniformare le leggi internazionali, pena il blocco o il rallentamento di inchieste che dovessero valicare i confini italiani.
Restano uguali, per contro, la capacità di infiltrazione nella politica e nel tessuto economico-finanziario, anche se alla forza bruta ed alle intimidazioni violente (che pure continuano ad essere messe in campo) ormai da qualche tempo i clan preferiscono la corruzione, più silente e dunque più difficile da individuare e perseguire.